violazione del contratto, una pazzesca imprudenza sul lavoro; poteva far l'effetto di una
scintilla in una polveriera, la voce doveva appartenere alla maggiore responsabile della
polveriera. Per Johnny non c'era stata scossa, Dian rimaneva rassegnato e passivo come un
detenuto obbligato ad assistere a uno spettacolo di edificazione.
« Sei pronto? » bisbigliò e senza attendere ruotò bruscamente, spartì i due lombardi, solcò
il resto sentendosi tallonato da Dian che batteva in breccia la crosta riformantesi.
La strada funzionò da camera di decompressione. Avvertirono una pesantezza estrema e
si mossero per appoggiarsi allo zoccolo del muro, elevato e sporgente abbastanza da
consentire una mezza seduta, ma i carabinieri fischiarono di starsene lontani. Allora
vagarono per la via, sempre nell'ombra del postribolo, fra ronde fresche.
Uscirono dopo un'ora, Lorusso inchiavardato nel suo schifo, Lippolis gesticolante e
loquace anche troppo. « Un disastro. Non più donne, macchinette sono. Io finalmente entro
e tiro un sospiro. Mi disse di spicciarmi con una voce da tigre. Accenno a sfasciarmi...
fasce!? Vorresti toglierti le fasce?> Ebbi paura, giuro, che mi cavasse gli occhi. Così mi
sono sfregato questo maledetto panno sulla pelle e mi sento ardere tutto. »
Questo il bel risultato, pensava poi Johnny, dopo il silenzio, alla finestra. Stava tutto teso,
molto scomodo, quella meretrice-operaia, balenata sul pianerottolo ora lo disturbava più che
la memoria di Cleopatra. Invidiò Lorusso e Lippolis che dormivano placati e ripuliti, il
prezzo non gli pareva più tanto alto. In quel momento vide all'ultimo orizzonte di Roma
crearsi un globo di fuoco bianco, da colossale bomba al magnesio. Senza tuono, ma da quel
punto l'aria si rigò fino a Montesacro.
XII
La mattina del 7 settembre D'Addio marcò visita e venne riconosciuto ammalato, la sera
Dian risultò assente al contrappello. Molto dopo la mezzanotte si sentì salir la scala una
voce strascicata di ubriaco, vanamente zittito. Entrarono, l'atletico istriano pesando sul
fianco sottile ma nerboruto di Perego. « Nessuno accenda la luce, » ordinò il sergente, che li
sapeva tutti svegli e attenti. « Adios muchachos companeros de mi vida, » biascicò Dian.
Perego intimò silenzio, il primo che appena lo incrinasse avrebbe seguito Dian in cella.
« Tu mettiti in tela. »
« Certo, certo, sergente. In tela. Mica posso mettermi in seta. »
I compagni soffocarono il ridere nel telo pulverulento dei pagliericci.
« Va bene, Dian, » diceva il sergente assistendolo nel cambio alla cieca, « straparla
quanto ti pare, ma non so come l'arrangerai con l'ufficiale di picchetto. L'hai detta grossa al
tenente Cerisola. »
Dopo questi avvenimenti fu una ridotta squadra mortaisti che nel pomeriggio dell'8
settembre partì per il turno di guardia alla polveriera nell'Agro. Johnny fu nominato
capoposto, contro ogni previsione. Meno Pezzullo, erano tutti entusiasti di quel servizio
esterno. Ci andarono a fantasioso passo di strada; all'ultima borgatella, appiccicata come un
fortino all'orlo del deserto, Lippolis deviò a comprare uva e marmellata per tutti: la
marmellata era orrendamente artificiale, l'uva gonfia e acquosa, proprio come la
desideravano.
Sul posto presero le consegne dai mitraglieri smontanti. Dovevano essercisi trovati bene,
partivano malinconici, Zummo il più depresso, si allontanarono come per traslazione magica
nell'erba alta e fitta.
Le munizioni stavano immagazzinate in grotte naturali in due dentoni tufacei che
violavano oscenamente la platitudine dell'Agro. Johnny assegnò i turni, una sentinella per
dentone, gli altri facessero finalmente e tutto intero il comodaccio loro.
Lorusso si era messo a torso nudo: mostrava un torace esiguo ma perfettamente disegnato
e colmato, efebicamente implume, i capezzoli di un viola carico, e Johnny pensò che se mai
un colore era associabile al coito era proprio quel viola. Pezzullo lo imitò: aveva un torace
tubolare, corrugato alle anche per pura stanchezza fìsica, gli montava al petto aggressiva e
come alata una mantellatura nerissima. Stava visibilmente scaricandosi del pensiero della
moglie, fra poco sarebbe stato in piena forma, non un impiastro, ma un elemento positivo
per tutte quelle incredibili ventiquattro ore nell'Agro deliziosamente vuoto, a cinque
chilometri dalla caserma.
Domandarono del rancio e Johnny spiegò che li servivano a domicilio, sarebbe arrivata la
carretta del battaglione con un fante ai servizi e la cassa di cottura, quell'orribile
parallelepipedo blindato e inchiavardato, macchiato di fuliggine indelebile e striato di quasi
mineralizzati rivoli di antico rancio.
Alle cinque e mezzo Garofalo segnalò la carretta. Veniva traballando sulla pista gialla,
assolutamente niente in essa di militare; il fante ai servizi era, in uniforme, sbracato e
pittoresco come un carrettiere d'altri tempi, parlava audibilmente al mulo nel dialetto di
casa, impiegò un'eternità ad attraversare quel braccio di terra accesa e approdare ai dentoni.
Si fece dare un paio di sigarette, poi scaricò la cassa e l'aprì: riso e verdura, in razioni
maggiorate, roventi. Lasciarono Oprandi a far le parti e Pezzullo, con una comica aria
d'avamposto, si informò dal fante come andava in caserma. L'anziano risalito in serpa nem-
meno gli rispose.
« Dov'è il battaglione? »
« Ora è al rancio. Prima all'istruzione. E dove aveva da essere? »
« Tu lo puoi sapere. Quando daremo gli esami da sergenti? »
« Booh? » Era di quelli che ce l'avevano a morte con gli allievi, di quelli che a Moana si
erano sfacchinata tutta la dissenteria.
« Lascialo perdere, » consigliò rudemente Johnny. Allora il soldato squadrò male il
capoposto e per ripicco parlò.
« Non li darete mai questi esami, vi piaccia o non vi piaccia. »
« Nessuno piange, stanno sicuro, » disse Lippolis.
« I bottoni d'oro potete toglierveli dalla capa. Non è più tempo d'esami. » E come se
l'angoscia per l'immediato futuro glieli affratellasse si sporse dalla cassetta e riferì che per
caso aveva sentito i capitani Vargiu e Vineis parlare di un molto prossimo sbarco alleato.
« Dove? »
« Sulla porta degli uffici. »
« Dove lo sbarco? »
« Ah, questo non si sa, sarebbe comodo. » La carretta virò e se ne riandò a Roma, con
quello strano effetto ottico di navigazione in mare liscio.
Il rancio scottava ancora, mangiavano cautelosamente, a cucchiaiate minime e veloci, con
lunghi e acuti risucchi. Poi guardarono il sole tramontare, ogni volta che distoglievano per
un attimo l'occhio dal rotante disco rosa-argenteo la campagna appariva di due, tre
gradazioni più spenta. Sospiravano di piacere, era una personale delizia la visione del
compagno che si stirava nella ricerca di un agio anche maggiore, e veniva da sorridere
languidamente quando il movimento smoriva al giusto, massimo grado di benessere. Le
mani accarezzavano la terra dell'Agro, ne annientavano dolcemente i grumi. Le sentinelle [ Pobierz całość w formacie PDF ]